Tu.

E pensare che ne odiavo anche solo il nome, ora non so nemmeno se riuscirò più ad abituarmi a non sentirne l’odore. Quell’aroma nauseante che ti impregna i vestiti e la pelle, quell’odore che non avrei mai voluto odorare per sbaglio, figuriamoci abituarmici.

Hai le dita lunghe e secche con le quali rolli la tua canna. Ti guardo concentrato, anche se lo sembri soltanto. Ormai hai talmente tanta esperienza che ogni gesto viene spontaneo. Ci metti dolcezza, pazienza, perché tanto sai già che varrà la pena aspettare per poter assaporare a pieno quel sottile cilindro bianco di illegalità.

Ti guardo le dita e mi vengono in mente le volte che mi hanno accarezzato i capelli, il volto, il corpo e mi viene un brivido.

Porti alla bocca la tua opera ormai completata e inizi la catarsi. Sei visibilmente più rilassato. Ormai penso che la tua bocca abbia compiuto il gesto di inspirare il fumo talmente tante volte che abbia imparato a muoversi da sola.

Inspiri.

Espiri.

Mi guardi.

Ridi.

Torni alla canna.

Inspiri.

Espiri.

Mi guardi.

Ridi.

Le mie serate sono diventate questo ora.

Ricordo che un tempo sarei stata lontana da persone apparentemente così vuote. Eppure è passato tanto tempo dalla prima volta che sono salita sulla tua macchina rossa.

Quanti ricordi racchiusi in uno spazio piccolissimo: la nostra prima volta insieme, la seconda, la terza, la quarta, la ventesima… E poi i viaggi, i passaggi, la musica, il fumo, le coccole, le lacrime. Troppi ricordi in uno spazio così piccolo.

Ci sono tante cose semplici e le serate con te lo erano. In fondo ho sempre amato le cose semplici, non danno troppi problemi, troppi stoni.

Inspiri avidamente l’ultimo tiro. Hai gli occhi rossi e lucidi, pare tu abbia pianto. Ma in realtà so che sei rilassato, quasi contento. Mi parli di te, ti confidi, ti apri, mi fai entrare poco alla volta. Ti concedi quel poco che rende ogni serata apparentemente uguale un po’ diversa. Mi fai entrare in un mondo a me sconosciuto. Ascolto musica nuova, odoro profumi diversi, assaggio sapori mai provati. Mi sento accolta, che è la cosa più importante.

Poi mi accovaccio tra i sedili anteriori. Sento il freno a mano nella schiena, ma non importa, perchè ho la testa appoggiata sulle tue gambe e mi lascio accarezzare. E’ tranquillizzante sentire le tue dita in profondità tra i capelli, sembra quasi che tu possa penetrarmi il cervello, toccare i miei pensieri, modificarli.

E quante volte siamo finiti sui sedili posteriori eccitati, impazienti. Quante volte ci siamo accarezzati le insicurezze superficiali e quante volte ci siamo spogliati, fino a mostrare quelle più profonde. E sai quanto era bello stare tra le tue braccia calde completamente nuda, avvolta solo dalla tua pelle che in quel momento sembrava abbastanza. Con quanta naturalezza ci siamo lasciati andare alle effusioni, che erano solo nostre in quel momento, nostre e di nessun altro. Quante volte ci siamo cullati lì, come in altri posti.

Ed è bello, perchè è così ovvio, così naturale, così consueto. E’ bello, perchè non ci devo pensare troppo. I vestiti si levano da soli, le mani sanno già cosa toccare. E per la prima volta con un uomo, mi sono sentita bene con il mio corpo: non ho timore di non essere perfetta, sono me stessa e io non sono perfetta, così come non lo sei tu. Sono io, sono semplicemente io e va bene così. E ricordo ogni dettaglio che merita un’attenzione particolare, come la tua lingua umida che mi lascia scie fredde a contatto con l’aria sul collo, la tua pelle morbida, la barba ispida che pizzica la bocca, lo sperma caldo sul corpo, come a voler lasciare un segno del tuo passaggio.